L’Italia sbaglia a combattere il lusso

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    PREMESSA – Negli ultimi anni ho avuto l’occasione di passare parecchio tempo in Cina (HongKong), inizialmente con viaggi organizzati e poi in maniera autonoma. La caratteristica dei viaggi organizzati, e chi viaggia lo sa bene, è quella d’esser trascinato a destra e a manca e rimbalzato da un bel posto ad un altro tra una visita, una cena e una mostra senza tregua. E soprattutto, senza venire mai a contatto con la parte brutta o reale di una città o di un luogo.

    Si ha dunque una opinione falsata; si vive un’esperienza con la versione facciata-turistica preparata ad hoc per i visitatori che ha poco da spartire con la vita vera di chi vive in loco. Staccandomi progressivamente dai gruppi per concedere spazio alla mia voglia di approfondimento personale ho sostituito l’entusiasmo turistico indotto con un concreto apprezzamento del modo di pensare seri e sani caratteristici delle zone orientali, che se per molti versi possono sembrare distanti e difficili da comprendere, complice la nostra chiusura culturale mista ad un incancrenito pregiudizio, risultano invece facilmente collegabili con il nostro vero io, quello scremato dalla tipica falsa morale, finto buonismo e paraculismo Made in Italy ormai radicato a tutti i livelli di associazionismo sociale, sindacale e politico. Questa nuova oggettività è quella che mi ha consentito di analizzare, spero in maniera originale, il problema del lusso in Italia e della battaglia contro ricchi e contanti.

    Che succede fuori dallo stivale

    Per capire cosa ci stia costando la tenace battaglia al lusso imposta dai passati governi sull’onda di inutili e banali ideologie è necessario digerire una prima realtà sul nostro paese: l’Italia non è una superpotenza. Questo postulato, non sono solo io ad affermarlo, consente di iniziare un tour oggettivamente triste di negatività e presunzione dove il bel paese Italia cerca di mostrarsi un virtuoso esempio di rettitudine e correttezza in realtà inesistente per provare a competere, almeno sul piano etico, con una stragrande maggioranza di posti dove realmente le cose funzionano bene. Sebbene reputi corretto il volersi vendere meglio (tutti cercano di mostrare il lato migliore) spesso questo sforzo rischia di risultare solamente un patetico tentativo di autoconvincimento senza fine alcuno se non quello di confondere le acque. Molti politici elogiano quotidianamente l’Italia per una serie di virtuosismi che non appartengono più al nostro popolo: è vero, siamo stati grandi, siamo stati forti, siamo stati di esempio, ma questo accadeva parecchi anni addietro. Definire oggi l’Italia una superpotenza o una grande realtà è falso e allontana il cittadino dal capire in quale oscura crisi il nostro paese si sia impantanato.

    Per chi viaggia al di fuori dei nostri confini è facile avvertire come la prospettiva si alteri diametralmente a tal punto da stravolgere le convinzioni e gli indottrinamenti mutandoli in vero e proprio sdegno per il tragico destino a cui si è condannati. Poco ci lega ai migliori e molto ci accomuna a Stati davvero arretrati. L’Italia è in ritardo, limitata nelle strutture e isolata nei collegamenti, lenta nel trovare soluzioni e avida nelle scelte. La giustizia ha le mani legate e le imprese devono sottostare ad una politica vecchia, arroccata in castelli di potere talmente solidi da non patir scandali persino di fronte ad oggettive colpe o incompetenze; nulla cambia nè accenna ad una variazione di direzione. Il bombardamento costante di false immagini a cui siamo sottoposti quotidianamente non rende possibile l’interpretazione della realtà mancando una prospettiva generale sulla situazione. Varcando i confini anche di pochi chilometri e vivendo sulla pelle le differenze (senza basarsi su media di parte) diventa subito chiara la traumaticità estrema delle condizioni in cui versiamo: un coma farmacologico, una morte indotta per tenerci schiavi.

    Tutto ciò che è Italiano viene a trovare una contrapposizione: da pulito a sporco, da servizio a disservizio, da puntualità a ritardo, da educazione a maleducazione, da cultura a ignoranza, da rispetto ad arroganza. Solo facendo un paragone può capire il senso di alcune parole inflazionate e delle quale si è abusato: meritocrazia, professionalità, attenzione, puntualità. Oltre a questo si avverte poi una differenza basilare: se da noi si tende ad uniformare il tutto verso il basso (io sto male perciò devi stare male anche tu), fuori la filosofia che si applica è proiettata al bello ed al miglioramento. Le strategie adottate contro le persone con capacità economica con il fine di castrare e limitare il loro consumo è un danno che riguarda tutti, e diventa a tutti gli effetti uno dei fulcri centrali del protrarsi della crisi in Italia. La battaglia al lusso e la lotta ideologica verso di esso stanno rallentando la ripresa.

    La guerra tutta italiana contro il lusso

    Nella storia ogni grande opera è stata realizzata grazie alla ricchezza ed ogni capolavoro è sempre stato condizionato dall’impiego più o meno forte di capitali. Basti pensare alla famiglia dei Medici a Firenze, che oltre ad aver retto le sorti della città per ungo tempo, riuscì a promuovere la vita artistica, culturale e scientifica della stessa per anni; o la moderna Dubai dove dal nulla e grazie al denaro si è affermata una realtà seguita ed apprezzata dagli amanti dell’esclusività, diventando un polo turistico e centro di commerci marittimi e finanziari. Più vicina a noi Saint Tropez in Costa Azzurra, cittadina amata per la bella vita, dove il lusso non è visto come una colpa ma come un punto di arrivo e uno stile di vita, meta di VIPs e dell’alta società internazionale amante del buon gusto e del divertimento. Il comun denominatore di questi luoghi è la volontà di attrarre ricchezza ed economie. E’ il lusso, o meglio, è chi può permetterselo, che spendendo e comprando porta a tutti, a caduta, grandi benefici in termini occupazionali e salariali, di sicurezza, di bellezza, di controllo, di pulizia e di possibilità.

    L’Italia applica invece una strategia diversa. Le gelosie e le invidie ideologiche hanno portato negli ultimi anni a blocchi progressivi della circolazione del denaro e alla possibilità di spesa, con una crescente contrazione degli acquisti, motivati dal cartellino “lotta all’evasione fiscale”. Questo muro imposto, come molti altri provvedimenti, non ha sortito gli effetti desiderati; al contrario ha visto come unico tangibile risultato il crollo delle vendite dei beni di lusso e di quelli di fascia medio-alta. Ha creato inoltre le condizioni per una fuga di capitali all’estero e ad una crescita delle vendite nelle zone di frontiera degli Stati vicini (Francia, Svizzera, etc.). La possibilità di acquistare senza problemi e senza esser “schedati” ha paralizzato le attività italiane poste in prossimità delle frontiere, che si sono viste ridurre il bacino di clienti in maniera sensibile a causa di uno svantaggio imposto dall’alto senza criterio. Ponendo poi l’accento su altre tasse contro il lusso (come il superbollo) il disegno che ne deriva è una vera e propria caccia all’uomo, una lotta medievale contro gli “eretici” colpevoli di poter spendere.

    Si è cercato inoltre di far passare l’idea che il contante fosse esclusivamente uno strumento di riciclaggio ed evasione. La realtà è però un’altra: sebbene si possa convenire che il contante non consenta la tracciabilità dei pagamenti, è anche vero che rimanga comunque il metodo più comodo ed immediato di pagamento; ed è altrettanto vero che i “cattivi” non spendono 999,99 euro. Ma se i traffici illeciti si muovono su flussi più cospicui e lucrativi, allora perchè imporre una soglia così bassa e raccogliere i dati di tutte le persone che hanno una capacità di spesa interessante?

    Perchè la battaglia del governo (anche di quello attuale, colpevole di non invertire il trend) continua ad esser rivolta verso i consumatori e verso chi vuole e può spendere? Qual’è la vera motivazione che spinge un governo a obbligare i propri cittadini ad acquistare tramite carte di credito e mette le banche nella condizione di prendere nominativi e dati delle persone che hanno ancora una buona capacità economica?

    In verità è tutta una questione di controllo

    Ogni provvedimento vede il favore ed il via libera delle banche, sempre più spesso coinvolte attivamente come centro di attività economica e sociale (e dunque politica) del paese: se una volta gli istituti di credito non percepivano commissioni per le transazioni medio-basse, ad oggi il cittadino che vuole acquistare sopra a 999,99 euro si troverà costretto ad avere un conto corrente (costo 1) e pagare tramite carta di credito o bonifico (costo 2). Insomma, una nuova tassa “mascherata” a favore del mondo finanziario. La vera motivazione risulta dunque il controllo e la volontà di accentramento di tutte le operazioni all’interno di vincoli predefiniti, verificabili e tassabili. Il denaro contante sfuggendo al controllo delle banche diviene il nemico principale, e come tale lo si ripudia. Ma risulta realmente una scelta intelligente puntare al benessere della finanza a discapito di quello economico?

    Probabilmente sarà presto il caso di mettere sul piatto della bilancia i due pesi e verificare quale possa apportare maggiori benefici. La direzione verso la quale l’Italia è diretta porterà tutti a doversi dotare obbligatoriamente di un conto corrente bancario, di libretti di assegno e di carte di credito anche per il pagamento di piccoli importi, ed obbligherà tutte le aziende ad avere un pos, con relativi costi annessi. Il passaggio dalla moneta reale alla moneta virtuale, cambiamento di per sè indolore (e sotto certi aspetti intelligente) forzerà tutti a sottostare a regole imposte dall’alto senza alcuna possibilità di replica. E con tassazioni imposte su ogni singola operazione.

    Sebbene sia una persona a favore del progresso e capisca l’importanza del controllo in uno Stato moderno, resta però anche vero che la mia estrazione da commerciante mi imponga l’esigenza di invitare presso il mio esercizio il maggior numero possibile di clienti affinchè spendano senza andare altrove. Lo Stato italiano, a causa della sua avidità sta obbligando chi può spendere a rivolgersi altrove dove i contanti sono ben visti. La fuga risulta inevitabilmente l’unico mezzo di autodifesa che ha chi vuole spendere per non diventare fuorilegge evadendo o eludendo i controlli. Per far ripartire l’economia e la voglia di fare è necessario instaurare un clima di benessere che metta a proprio agio i privati, le proprietà, le aziende ed il lavoro.

    La necessità è un progetto semplice e stabile che preveda pagamenti liberi, facili e veloci, senza blocchi o eccessiva burocrazia. E basta guardare alle economie che vanno meglio della nostra per capire che il trend è opposto al nostro. L’invito dev’esser quello di portare persone in Italia a consumare da noi, nelle nostre aziende e sul nostro territorio, incentivando chi vuole creare valore a poterlo fare con tasse corrette senza dover acquistare fuori magari intestando proprietà all’estero. Del resto non si parla di far evasione, si sta pensando di attrarre capitali, mettere le persone in grado di spendere facilmente pagando le tasse in Italia dando ossigeno alle imprese italiane ormai chiuse in una morsa inaccettabile di crisi, tassazioni e veti.

    Ed infine un piccolo invito: sebbene la battaglia al lusso sia in verità una strategia per avere il controllo sulle transazioni finanziarie, risulta altrettanto vero che esista ancora tanto odio e molta invidia nei confronti di chi sta meglio. E’ giunto il momento di superare la mentalità di avversione e antagonismo per chi può permettersi il lusso di concedersi qualcosa di bello, ed è necessario capire l’importanza dell’invitare chi può spendere a spendere qui e subito: in una società economicamente attiva, a caduta, tutti ne traggono benefici.

    Antonio Cicala

    limite-circolazione-contanti-europaTabella che mostra come a combattere il lusso si operi principalmente il nostro paese.

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