L’oro rosso ha da sempre affascinato l’uomo per la sua rarità, l’aura di magia legata alle più misteriose leggende ed il suo indubbio valore economico. Anche Genova e le sue più importanti famiglie furono stregate dal corallo a tal punto da dedicargli interi distretti e regolamentarne la diffusione e la lavorazione con leggi speciali.
Le origini di questo rapporto si perdono nei secoli, ed i dettagli e la storia di questo amore centenario sono difficili da ritrovare con precisione. Essi sono desumibili solo attraverso dettagli di vecchi documenti e parti di racconti di famosi corallari (così vengono chiamati coloro che fecero e fanno tuttora del corallo la loro professione) grazie ai quali è possibile tracciare in linea di massima quale fosse il rapporto tra “La città regale, addossata ad una collina alpestre, superba per uomini e per mura, il cui solo aspetto la indica Signora del mare” (così definita da Petrarca) ed il rosso frutto del mare.
Il corallo nella Liguria antica
Ciò che possiamo affermare con certezza è che la pesca del corallo in Liguria abbia origini antichissime. Una prima testimonianza storica su questa attività la abbiamo da Plinio il Vecchio (I secolo d.C.), il quale descrive sia le modalità con le quali veniva esercitata la pesca (tramite ordigni di ferro o avviluppando i cespi nelle maglie delle reti delle barche) sia le zone nelle quali veniva praticata (Golfo di Provenza, Sicilia e coste occidentali d’Italia, con un chiaro riferimento ai Liguri ed al loro golfo).
Queste remote epoche sono comunque troppo lontane per fornire documentazioni soddisfacenti e precise circa Genova ed il ruolo che ebbe nel mondo e nella storia del corallo. Fino al 1300, le uniche notizie certe che si hanno riguardano principalmente la Liguria ed il mar Ligure, prolifico di corallo, che dava un gran da fare ai suoi pescatori sia nella riviera di Levante che in quella di Ponente principalmente nei pressi dei villaggi di Laigueglia, Alassio, Diano Marina, Cervo e Portofino.
In questo panorama si distinguevano gli abili navigatori (e pescatori locali) genovesi, al pari di quelli Siciliani e Napoletani nel sud Italia. L’influenza di Genova si estendeva inoltre fino alla Corsica e alla Sardegna, dove a causa della riluttanza degli isolani verso le attività marinare, la pesca avveniva stabilmente soprattutto nelle zone di Cagliari (in contrasto con i Pisani) e nelle zone del nord-ovest a cura esclusiva dei genovesi.
La storia di Genova nella pesca del corallo
Per comprendere l’importanza di Genova nel commercio del corallo, è sufficiente leggere una citazione d’epoca: “Giammai infatti popolo alcuno fu più attivo nelle industrie del corallo di quello che furono i genovesi in quel tempo e specialmente nella seconda metà del secolo decimoquinto“.
L’inizio della vera storia di Genova nel mondo del corallo è da attribuire alla famiglia Doria (all’epoca chiamata D’Oria) la quale tracciò la via agli insediamenti secolari della città in Sardegna. Insieme ai Malaspina, i Doria si spartirono la costa occidentale dell’isola stabilendosi ad Alghero fino al 1353, anno nel quale Pietro IV d’Aragona espugnò la roccaforte, cacciò i sardi e vi costituì una colonia catalana. La pesca genovese si ridimensionò perciò fin sotto alla Corsica.
L’importanza crescente dei Lomellini
Contestualmente, la storia del corallo viene segnata da un’altra grande famiglia ligure: i Lomellini. Questa casata, ritenuta di origini Lombarde, era già al centro di uno dei più grandi giri d’affari dell’epoca sia in territorio italiano, sia nei principali mercati d’Europa, e svolse certamente uno dei ruoli più incisivi nel commercio, e nella pesca, del corallo.
La sua importanza crebbe a tal punto da ricevere, nei primi anni del 1400, la Corsica in feudo. Queste condizioni le consentirono di istituire compagnie a carattere commerciale e finanziario specializzate esclusivamente nel commercio del corallo. Fino al 1470 le flottiglie di magnati genovesi dei Lomellini, insieme ai Doria, agli Spinola ed ai Bulgaro erano padrone di tutte le zone di pesca di Capo Corso, Ajaccio e Bonifacio. L’influenza si estendeva fino alle coste africane dove insieme a fiorentini, pisani e veneziani, esportavano il corallo verso l’Egitto e la Siria in cambio di pregiate spezie e merci provenienti da paesi molto lontani.
Nel 1547 i Lomellini ottennero anche la concessione di pesca del corallo sui banchi corallini di Tabarca, di cui furono gli unici feudatari fino al 1718. Tale posizione inasprì ovviamente i rapporti con i francesi, con cui la famiglia dovette ostinatamente combattere nei secoli, ma che le diete però la possibilità di fregiarsi del titolo di “Lomellini di Tabarca“.
L’attività commerciale di questa famiglia, nei secoli, si estese per tutto il mar Meditteraneo sino alle coste del Portogallo. Per comprenderne realmente l’importanza è possibile riportare lo stralcio di una transazione commerciale avvenuta nel 1584 con città di Lisbona: la città acquistò dai Lomellini in una sola operazione “una partita pel valore di oltre un milione di lire nostre attuali” (Podestà, 1880), che tradotto in valuta corrente equivarrebbe ad un valore di circa 5 milioni di euro.
L’attenzione di Genova per il Mediterraneo
Nonostante i costanti e frequenti rapporti commerciali con Stati al di fuori del Mediterraneo, le potenti famiglie genovesi non avevano distolto lo sguardo dalle possibilità economiche che il loro mare continuava ad offrire.
Esse fornivano infatti una costante fonte di reddito, “sicura” e sempre vantaggiosa. Nuovi banchi di corallo vennero assegnati a famiglie genovesi emergenti: un esempio fu il genovese Antonio Marti, a cui vennero assegnati i neo scoperti banchi corallini sardi di S. Pietro e S. Antioco nel 1599. La pesca in questi posti era prevalentemente affidata ai pescatori genovesi e liguri di Tabarca.
Anche la famosa St. Tropez deve la sua esistenza proprio ai genovesi ed al commercio del corallo: questo borgo marinaro, abbandonato dai suoi abitanti a causa delle continue incursioni saracene, nel 1500 sorse a nuova vita grazie alla migrazione di alcune famiglie di commercianti del ponente Genovese, che vi si instaurarono per la loro attività di banchieri e commercianti di corallo.
Pegli, i Lomellini e l’Isola di Tabarca
A proposito di Tabarca, Genova stabilì una propria sede sull’isola, costruendovi case, mura, una fortezza, torri di difesa, magazzini e chiese, per consentire una vita tranquilla e sicura ai pescatori che avevano coraggiosamente scelto di trasferirsi nella lontana e pericolosa Africa a caccia dell’Oro Rosso.
L’Isola tunisina era all’epoca (1540) in concessione alla famiglia dei Lomellini per meriti di guerra: essi avevano infatti liberato i mari tunisini dal famoso pirata Dragut. Data l’incredibile abbondanza di banchi coralliferi Tabarca rappresentava un’occasione economica da non perdere, da controllare e da presidiare. Per questo motivo i Lomellini, insieme ai Doria, spronarono famiglie e commercianti pegliesi a stabilirsi sull’isola in cambio di elevatissimi guadagni e condizioni di vita migliori.
Nello stesso anno, facendo seguito a questa richiesta, oltre trecento famiglie pegliesi lasciarono Pegli al seguito di Agostino Francesco Nicolò Lomellini, salpando verso un destino che riservò loro ricchezza, fama e potere per oltre 100 anni. I coloni pegliesi vendevano per 4,50 lire/libbra il corallo a Genova che a sua volta lo rivendeva per 9,10 lire/libbra a tutta Europa grazie alle rotte commerciali ed ai contatti dei Lomellini e dei Doria.
L’Isola di Tabarca – Carlo Antonio Tavella, seconda metà del XVII secolo
Quando il corallo iniziò a scarseggiare parte dei pegliesi si trasferì in Sardegna sull’isola di San Pietro, allora disabitata, e fondò il nuovo comune di Carloforte, lasciando Tabarca nelle mani di pochi coloni che nel 1741 vennero fatti prigionieri durante l’invasione dell’isola da parte del Bey di Tunisi. La linea preferenziale del commercio tra i Pegliesi di Tabarca e Genova aveva infatti indispettito negli anni il popolo arabo che sfruttò l’occasione per conquistare l’isola e rendere schiavi tabarchini rimasti.
Gli schiavi pegliesi vennero prontamente liberati grazie all’intervento del Papato, di Carlo III di Spagna e di Carlo Emanuele III di Sardegna, e raggiunsero Carloforte. Da lì, nei decenni successivi, essi diedero presto origine ad altre due comunità: Calasetta sull’Isola di Antioco in Sardegna nel 1770 e Nueva Tabarca sull’isola di San Pablo di Alicante in Spagna.
Ancora oggi nel cuore della vecchia Pegli, in Piazza Tabarca, è presente una targa commemorativa per ricordare a tutti l’importanza colonia pegliese che per secoli contribuì attivamente alla fama e alla ricchezza della Repubblica di Genova e dalla quale ebbero origine Calasetta, Carloforte e Nueva Tabarca. Una ulteriore conferma di quanto importante fosse il corallo di Tabarca per la città di Genova è data dalla Basilica della Santissima Annunziata del Vastato nel quartiere di Pre, che fu riedificata con solo il tre percento dei proventi dal commercio dei coralli dei Lomellini con l’isola.
L’arte dei corallieri genovesi
Agli inizi del 1500 Genova risplendeva per importanza nella produzione e nel commercio del corallo assieme a Venezia, Pisa, Livorno e la Sicilia. La sua produzione era di qualità molto elevata e la lavorazione era diffusa per tutta la città, con oltre 150 specialisti. Centinaia erano poi le maestranze addette alle operazioni per la lavorazione dei grani di corallo (taglio, tornitura, pulitura e foratura) soprattutto nell’entroterra della Val Bisagno e Val Polcevera.
Stemma di Genova, 1582
Le ricche fonti documentali di libri contabili mostrano che il commercio della Superba era diretto principalmente verso l’Armenia, l’India e la Spagna. Da questi importanti “centri di smistamento” le merci ed i manufatti genovesi venivano ulteriormente commercializzati per tutto il mondo, rendendo la produzione genovese famosa ed apprezzata.
L’arte dei corallieri genovesi era molto ben organizzata e suddivisa tra mercatores, cioè commercianti per lo più borghesi, e artifices, ossia lavoranti della plebe. L’importanza di questa estesa categoria è desumibile dal fatto che, fin dal 1477, essa aveva addirittura chiesto al Governo della città la propria “universitas” sottoposta a strettissime regole fisse.
Le regolamentazioni, dette capituli, furono approvate nel 1492 e modificate con il passare degli anni, e disciplinavano l’attività della produzione ed i rapporti tra tutti gli addetti al settore del corallo, compresi diritti, doveri ed assistenza reciproca. Un esempio virtuoso di tali diktat era la regola che riguardava il sabato, giorno in cui due “maestri” dovevano andare in giro tra i corallieri raccogliendo le loro “elemosine“: una metà era devoluta alle giovani donne da marito, l’altra metà ai poveri ammalati ed alle partorienti appartenenti alla categoria. Il rifiuto di adempiere a tale dovere portava un’ammenda pecuniaria di ben 3 lire.
Lavoratrice addetta alla foratura del corallo
Nel 1500 portò a Genova una personalità di spicco nel settore del corallo: il maestro incisore Filippo Santacroce, il quale migliorò notevolmente il livello artistico dell’incisione dei coralli genovesi negli anni a venire. La città divenne quindi progressivamente uno dei capisaldi della scultura del corallo.
La dimostrazione dell’eccellenza genovese è chiara prendendo ad esempio un avvenimento: quando Andrea D’Oria volle donare coralli scolpiti a don Diego di Cordova, vicere della Nuova Spagna, non si rivolse altrove ma attinse ai lavori genovesi (e non a Trapani, altro polo fortissimo della produzione di coralli di alto livello).
Raffaele Costa, la più grande ditta genovese nel commercio del corallo
Il commercio e la creazione di manufatti di corallo a Genova continuò per centinaia anni, ma subì progressivamente un declino a favore del crescente mercato del corallo del sud Italia, e nello specifico, nei confronti della sempre più forte Torre del Greco.
Raffaele Costa
La Superba mantenne comunque un ruolo di primo piano nei traffici e nella lavorazione dell’Oro Rosso grazie alla produzione ed ai forti stock di magazzino della ditta Costa. La fondazione della “Raffaele Costa & C” risale al 1838; essa venne disciolta per esser ricostituita nel 1864 con la stessa denominazione sociale e nella medesima sede di Corso Buenos Aires 18-23 a Genova. Il titolare, uomo intelligente e di acume sottile, laborioso ed aperto alle novità, dirigeva un’azienda che impiegava oltre 4000 operai tra interni, esterni e lavoratori a domicilio (tanti erano i nomi, tra uomini e donne lavoratrici del corallo) segnati nel suo libro paga.
L’attività aziendale dovette essere quanto di più esteso e diversificato si possa immaginare: andava dalla vendita del grezzo di ogni provenienza e qualità (anche corallo giapponese) alla lavorazione e alla vendita di prodotti semilavorati e finiti. L’entità ed il giro di vendite non avevano alcun limite.
L’imponenza della Ditta Raffaele Costa è desumibile dalla quantità di corallo venduta: nel 1902 vendette 30’000 collane a Sofia, lo stesso anno 6’000 collane a Nuova York, nel 1903 ben 18’000 collane per Algeri e 3’500 per Sofia. Nel 1904 rifornì 26’000 fili di corallo ad Amburgo, 3’500 fili alla Bulgaria, 5’000 collane all’Algeria e 15’000 in Baviera. Per citare infine gli ordini più grandi degli anni successivi: nel 1907 New York acquistò 25’000 collane e Amburgo ben due ordini da 120’000 e 160’000 fili!
L’azienda, di certo una delle più grandi al mondo che abbia mai trattato corallo, dimostrava un’amore così puro e totale per il corallo da esser stata una delle poche ad aver persino prodotto e venduto mattonelle in corallo. La villa dove Costa viveva a Ligorna, soprannominata Casa del Corallo, ancora oggi mostra i pavimenti di varie parti della casa creati in pregiato corallo.
Pavimento in corallo della Casa del Corallo
Fonti: DiscoveryCarloforte; Profondo Rosso, tesori di corallo (Tormenta Editore), Il Corallo (Basilio Liverino), LionsClubPegli, TorreOmnia, TouringClub, Cicala.
Comments